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Cima: Aiguille du Tour mt. 3.540 (Gruppo Monte Bianco);
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Difficoltà: PD+, percorso su ghiacciaio con arrampicata di II+ su cresta più che divertente. Un po’ fetente solo il primo tratto dopo la terminale. Attenzione a quest’ultima nella annate “difficili”;
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Tempi: corti sul secondo giorno; gita da godere. Panorami da apnea.
Anche il Cai Desio ha fatto il suo “Tour 2013” o, meglio, per stimolare un po’ di alpinismo locale e per tenere alto il merito di partecipare a modo suo al compleanno importante dei 150 anni del Cai, ha toccato nel gruppo del Monte Bianco, l’Aiguille du Tour, coi suoi 3.540 metri in una splendida domenica di luglio, l’ultima fatica dopo le tante passate “sui libri di scuola”!
La nostra apoteosi è stata anche quella di arrivare tutti in cima, dopo una bella sfacchinata pagata sino all’ultima goccia di sudore. E’ stato infatti un crescendo: siamo partiti perdendo di vista la riga del kulo, dal fatto di star seduti per un viaggio lungo ma non interminabile e l’abbiamo riacquistata dopo un’estenuante salita verso i 3.170 mt della Cabane du Trient (siamo a credito da almeno un triennio col Cai locale, visto che ogni anno ce n’è sempre stata una…..e, ovviamente, anche quest’anno il sorpresone non si è fatto attendere: l’appoggia-terga meccanico è in rifacimento con tanti cari saluti alla fatica, che non ringrazia e la caldazza, che prima taglia il pelo e poi ti secca definitivamente!).
La meteo è stata favorevole e la gita ci ha permesso di godere di un panorama semplicemente fantastico, ma soprattutto di una bella compagnia di Gratakù, che si sono combinati bene insieme. La Cabane du Trient è un po’ come il balcone ideale che ognuno di noi sogna quando pensa all’architetto o al geometra che sta costruendo casa. Siccome andiamo in Svizzera è necessario essere precisi e, dopo una partenza “da Brenva” ci ritroviamo alle 9,30 esattamente lì dove dovevamo essere (lo schema random di “ognuno per la sua strada”, l’importante è essere là per l’orario convenuto, ha funzionato). Nel mezzo, un pit-stop al Colle del Gran San Bernardo, dove i 7 gradi presenti ci hanno fatto venire l’acquolina in bocca e peccato solo non fosse possibile mandarli a casa via sms……
A Champex son lì tutti che guardano in giro e tirano su cavedani a go-go, noi invece dobbiamo faticare e quindi ci portiamo là dove l’ultimo cm di battistrada può essere sfruttato, in località Relais d’Arpette, una valle secondaria che potrebbe permettere ugualmente l’accesso al rifugio, ma con percorso molto più tecnico nell’ultima parte, attraverso il Col des Ecandies. Suggeritoci dal rifugista come palliativo alla mancanza della télésiège, lo prendiamo non solo in considerazione: tra l’altro ha tutto l’occorrente per far desistere dall’iniziare a camminare.
Verso le 10.00 saliamo “a goccia” verso il Col de la Breya verso i 2.400 mt, dove coliamo per la sudata incredibile e dove la pendenza viene percepita solo l’indomani, durante la discesa.
Sono ca 1.600 i metri che ci separano dalla Capanna, sapendo che in mezzo un po’ di refrigerio ci sarà dato dall’altro rifugio che toccheremo, la Cabane d’Orny, dove incontriamo il vecchio Reymond che dice di riconoscerci come gli italiani del 2007 (un bel Corso!).
Essere stanchi non vuol dire essere scemi e quindi gli 8,5 € necessari per una bottiglia d’acqua non passano indifferenti; se poi calcoliamo che con giornate di questo tipo e sudate importanti i litri da reintegrare non son pochi, il calcolo è presto fatto: praticamente un’altra mezza pensione si è fatta fottere tra i due rifugi per via dell’acqua. Una nota non da poco: adesso i rifugisti per non farti bere l’acqua del cesso o per farti desistere, ti dicono che la prendono dal tetto…..
Il tempo tiene e piano piano ci portiamo verso la nostra meta che si vede solo all’ultimo secondo e che sa esprimere una magnificenza superiore: l’angolatura e la bellezza di questo posto si apprezzano solo passandoci….stanchi!
Non ci resta che tuffarci con la cuffia in un mare di birra & gassosa (…forse meglio birra e acqua gasata!?!?!?!, che schifo!!!!). Contempliamo quanto abbiamo davanti passando molto più tempo di quanto lo sguardo non faccia di fronte ad un aumento in busta paga e cominciamo a pianificare la salita del giorno dopo. Il rifugista si dimostra cordiale con qualche battutina che assorbiamo con eleganza sulla politica italiana, ma ormai la fantasia degli stranieri, oltre a non far ridere, non sa andare al di là del naso! Peccato, il risultato è che siamo tutti dei gran ciula indipendentemente dal campanile.
Stiamo sul terrazzo ad imitare le lucertole oppure schiacciamo un pisolino sino a quando Padre Giovanni decide che è ora di celebrare la S. Messa (noi quando viaggiamo siamo muniti di tutto!); gli swizzerotti ci guardano un po’ sorpresi da questi italiani capaci di unire serietà a goliardia, un mix esplosivo.
Dopodiché giunge, anche se a fatica, l’ora di cena, dove la pappa c’è, ma non abbonda e dove cerchiamo a più riprese di avere maggiore sostanza. Non si esce sazi da una capanna svizzera e, per quanto affamati, occorre rendersi conto che resta pur sempre un rifugio, anche se il termine è ormai difficile da digerire nel suo significato pieno! Dopo la pianificazione logistica degli orari e delle cordate non resta che lanciare i dadi e sperare che nella notte nessuno decide di tagliare legna sottile o pesante che sia.
Ovvio che la fortuna bussa poche volte e quindi si è deciso ufficialmente di costruire delle portantine di legno che funzionano da sacello, all’interno delle quali collocheremo in futuro lo sventurato (neanche tanto!), in posizione laterale, che ivi dovrà dormire, in siffatte fattezze e senza batter ciglio; l’ultimo, incaricato della manovra e di spegnere la luce, sarà colui che abitualmente non russa; soluzione pratica, semplice e di aiuto al prossimo. Il prezzo della legna ultimamente sta salendo su tutte le principali Borse Alpine.
Ci alziamo nella nebbia verso le 4.30, preludio a quest’ora di tempo buono (ovviamente sappiamo già come sarà la meteo) e scendiamo la colazione nello stomaco per poi velocizzare le manovre portandoci sotto il rifugio; è un momento importante perché chi non ha mai fatto nulla si agita e l’iter normale di preparazione è sempre concitato. Tuttavia bisogna ammettere che non abbiamo perso tempo, considerato il numero di cui siamo fatti.
Partiamo legati alle 5.40 circa ed attraversiamo il ghiacciaio verificando di minuto in minuto l’alba sopra di noi e avvicinandoci sempre più alla terminale, proprio brutta!
Alle 7.30 siamo sulle roccette che permettono l’accesso alla cima: si tratta, salvo i primi 20 metri, di una divertente arrampicata di secondo più, che ci deposita tutti in vetta, dove riconosciamo la presenza di uno dei personaggi che hanno fatto la Storia di questo magnifico gruppo: è stato un po’ come trovare Messi che palleggia su una guglia del Bianco. Patrick Gabarrou era in pellegrinaggio con un nugolo di ragazzini.
Se Dio ha detto a Pietro che avrebbe costruito la Chiesa sulla pietra senza specificarne il tipo, ma indicandone la via, sicuramente ha detto a Patrick che avrebbe scritto alcune delle vie più belle sul protogino del Bianco!
Baci, abbracci, pacche a destra e a manca e poi veloci ci portiamo alla base, ma noi abbiamo un piano: ciulare la picca a Patrick!!! Un’impresa talmente difficile che ci riesce, meglio riesce a Stefania, che utilizzeremo presto per altri furti! Dopo aver convocato un’Unità di Crisi anche con la Farnesina, decidiamo che forse è meglio l’eleganza ed il rispetto; rinunciamo al riscatto, ma decidiamo che una foto può compensare tutto (Patrick poi ci svelerà che lui, invece, voleva a tutti i costi la picca di Stefy e che si era mosso con manovre identiche ma di segno contrario!!! e che alla fine ha ceduto perché ha trovato l’onestà italiana troppo invitante). Che spettacolo!, un gran mix di Italia, Svizzera e Francia in una goccia d’acqua. E pensare che per sviare le manovre e creare scompiglio con un diversivo abbiamo escogitato un piano quasi perfetto; avevamo un palo (Sara) che abbiamo istruito alla perfezione per sviare le indagini: lasciar cadere lo zaino giù per il pendio facendolo finire nella terminale……..però non si pensava che potesse finire così male o così ben fatto!!! La terminale non era affatto una terminale normale, ma una di quelle da paura & panico; profonda e tetra avrebbe contenuto una decina di pullman.
Fatto sta che abbiamo dovuto trovare un rimedio inaspettato, il Pier!!! Da perfetto galantuomo d’altura, si è fatto calare nella voragine ed ha estratto intatto lo zaino, senza graffio (ci ha poi parlato dello stremizio per il tipo di crep e per il ponte sopra il suo crapone).
Insomma un episodio raccontato un po’ alla Karlona, ma che poteva esserci risparmiato e che sicuramente avrà insegnato come legare il materiale nel momento dell’abbandono temporaneo. Meno male che lo raccontiamo così.
Tutto bene quel che finisce bene; dopodiché chiediamo l’armistizio a Patrick e conveniamo sia utile convergere a metà strada in un incontro pacificatore, che finisce fra pacche sulle spalle e foto che ricorderemo non tanto come trofeo, ma come momento simpatico condiviso con uno dei “padroni di casa”.
Veloci e contenti ritorniamo verso la Cabane du Trient, senza però risalire, bensì portandoci direttamente verso il basso, chi direttamente sul pianoro del ritorno verso La Breya e chi prima passando nuovamente per la Cabane d’Orny. Piano piano e dopo un breve rifocillamento generale, rientriamo verso la valle d’Arpette.
Durante il ritorno sul jazée sia Antonio che Pier si rendono protagonisti di altri due recuperi, di cappellini; insomma in questa domenica di luglio abbiamo due nuovi membri del Soccorso, nominati sul campo e per valore.
Peccato che l’imprevisto della seggiovia ci abbia impedito, il sabato, di salire comodamente al punto convenuto: avremmo fatto sicuramente meno fatica e la domenica avremmo forse potuto goderci anche la Fenetre de Saleina, con discesa verso la Cabane de Saleina. Un giro a cerchio, con possibilità di ammirare un’altra valle poco frequentata.
Ecco, anche quest’ultimo aspetto non è da sottovalutare; non abbiamo incontrato molta gente e sapere che nessuno o pochi vengono a vedere questi angoli, può voler dire un paio di cose: o veramente non si riesce più ad apprezzare ciò che è bello, oppure il bello lo si misura solo su certi parametri.
Scendiamo per ca 2.000 metri sino alle auto e finalmente possiamo farci un pediluvio; in macchina ci siamo chiesti cosa avremmo detto noi, se fossimo stati proprietari del Relais (come VdS) e se una manica di scannazzati fosse venuta a lavarsi i piedi nel torrente………ogni tanto pensare aiuta; cmq non abbiamo fatto male a nessuno e non abbiamo neanche sporcato.
Il rientro è fatto di una marea di kazzate e da una breve pausa in un ristorante da prendere a sberle: 11,50 € per un tagliere che forse andava bene ad un bimbo che da due giorni ha abbandonato il latte. Peccato.
Un po’ di traffico perché non può andare sempre bene, ma soprattutto una bella gita in compagnia di persone divertenti; un’esperienza sicuramente da ripetere.
Partecipanti (31!): Stefania, Anna, Angeletta, Raffaella, Roberta, Sara, Silvan, Enrico, Silvano R, Paolinux, Pier, Antonio Inox, Gonza, Ale Barin, Massimo, Marco, Roberto, Ernesto (complimenti anche a lui che non ha mai mollato un minuto), Fabio, Augusto, Isidoro, Padre Giovanni, Pier, Giuseppe (papà), Francesco (figlio di 12 anni, il più giovane oltretutto festeggiando il suo compleanno; complimenti e tanti per l’impegno), Eugenio, Dario, Pasquale, Ambrogio, Davide e Patajean.
A questo punto la saga deve continuare, ormai non siamo più a credito, ma alla pari; però qualcosa senz’altro si può ancora fare………magari invitando Patrick a una bella serata in Valle. A presto e buone ferie, meritate.
La differenza fra “les calculs e leca’l kul” ???……non c’è!
Due parole che finiscono con la “N”???: …..uN …..teruN…
Ciao à tuch,
Patajean